Editoriale

Editoriale (n.s. – 2016)
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Come la prima sua pubblicazione, cosí il varo della nuova serie di una rivista, in varie cose ripensata e diversamente articolata, impone l’obbligo di un’almeno stringata presentazione intesa a chiarire le ragioni e il senso dell’operazione intrapresa. E l’obbligo è certo piú vivo e sentito quando la nuova serie s’accompagni a un tangibile cambio nella periodicità della rivista stessa, o a una compiuta ridefinizione di intese e partecipazioni editoriali.

Nella serie che qui si presenta, la seconda, e che forse meglio, a significarne l’auspicio condiviso di perennità, potrebbe dirsi altera, «Albertiana» muta entrambe tali sue caratteristiche “strutturali”: intenzionata sempre a nulla concedere alla moda del giorno, o alla facilità e approssimazione che col vano pretesto della divulgazione allontanano dalla ricerca non meno che dall’interrogazione filosofica o storica settori assai ampî dello stesso lettorato avvertito, la rivista ritocca dunque, a quasi un ventennio dalla sua fondazione, la propria facies editoriale e si fa semestrale, parallelamente allargando il ventaglio delle proprie proposte; nel contempo, la Société internationale Leon Battista Alberti, che l’ha pensata e realizzata, abbandona la collaborazione editoriale con la Casa editrice Leo S. Olschki, impossibilitata a seguirla nel presente, mutato contesto culturale, politico ed economico, per riavviare con la Fabrizio Serra editore, che della diffusione di riviste o periodici scientifici, e della loro commercializzazione, ha fatto nel tempo un’indiscussa propria specialità, una cooperazione che già vanta talune, senz’altro felici, realizzazioni.

Sobria e classicamente elegante nella stessa sua nuova sovracoperta, decisa a conferire uno spazio e un risalto progressivamente maggiori, giusta una tendenza già in atto, a disegni, figure e immagini in genere, «Albertiana» ridisegna altresí le proprie pagine, non soltanto adottando in ogni sua declinazione il dante disegnato un sessantennio fa da Giovanni Mardersteig nel preciso intento di riprodurre il carattere inciso dal Griffo per Aldo Manuzio, ma aumentandone la capienza (ora spaziante tra i 3.800 e i 4.600 ca. caratteri per pagina, contro i 2.900-3.400 ca. della precedente serie, con un guadagno compreso, a seconda delle sezioni, tra il 31% e il 35% ca.), e ne accresce poi il numero complessivo. Piú capace della precedente, la nuova formula consentirà del resto di accogliere, nel secondo fascicolo dell’annata, una monografia o un insieme di saggi ad hoc, oppure un’edizione commentata o tradotta, com’è già ora per il Momus, l’indiscusso capolavoro dei lusi albertiani, che dotandolo d’un commento mai per l’innanzi prodotto si stampa qui nella prima sua autentica edizione critica, e come sarà poi in futuro, ogni qual volta risulti a un tempo concretamente possibile e opportuno.

Diversificando e arricchendo in tal modo i proprî spazî e le proprie proposte, la rivista auspica, nella pur difficile e incerta stagione oggi attraversata dalla cultura europea, di consolidare il proprio pubblico altresí confermando il ragguardevole numero degli abbonati non meno istituzionali che privati.

Esigenti ma tolleranti, i lari albertiani da sempre ricusano ogni logica d’esclusione o, peggio, d’occupazione: il confronto che «Albertiana» promuove ormai da un ventennio, e che molteplici e indiscussi raggiungimenti può vantare, séguita dunque a volersi libero nei temi e nei metodi, non strettamente riservato all’opera dell’Alberti e ai suoi piú o meno diretti prolungamenti, e tutt’altro che precluso a quanti umanisticamente fanno della storia e della conoscenza antiquaria il fondamento di indispensabili riflessioni, o interrogazioni, sul presente.

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Editoriale (1998) 

La pubblicazione di una nuova rivista suggerisce sempre – stanti opportunità e tradizioni – un’almeno stringata presentazione intesa a chiarire l’oggetto, il metodo e i fini ch’essa riconosce per suoi e cui il titolo rinvia solo implicitamente, talvolta persino in modo alquanto enigmatico. Qualche parola potrà senz’altro bastare nel caso di «Albertiana».

Circa il titolo, prima. Non meraviglierà, crediamo, il fatto ch’esso esplicitamente alluda alla personalità e alla poliedrica opera di uno dei piú alti ed imprevedibili ingegni del Rinascimento europeo – nei cui confronti la rivista rivendica dunque, dichiaratamente, un non estemporaneo e non occasionale interesse. Né sorprenderà, in quest’allusione, il riconoscimento ad un tempo della centralità dell’Alberti e della sua singolarità nell’ambito della creazione intellettuale ed artistica del Quattrocento e, d’altro canto, la consapevolezza dell’opportunità di dar vita ad un primo, concreto strumento di promozione e pubblicazione di indagini e testi, di documenti ed interventi sui temi, i saperi, l’età e gli uomini ai quali il nome del grande umanista ed architetto direttamente si lega.

Circa l’oggetto, poi, e circa il metodo e i fini. Strumento ma altresí luogo di incontro, non partigiano, di esperienze, culture e saperi, «Albertiana» intende promuovere quel dialogo fra tradizioni o culture nazionali e fra diverse e complementari discipline con il quale soltanto si può ambire ad una comprensione integrale della civiltà umanistica e delle sue omogenee ma non uniformi espressioni. Luogo di scambio senza preclusioni e censure, la rivista si avvale nondimeno di un Comitato di lettura il cui lavoro non avrebbe significato né ragion d’essere se non accertasse qualità e rigore dei singoli interventi in un confronto deliberatamente aperto, e in divenire, con autori, redattori e lettori.

Esigenti ma tolleranti, i lari albertiani non potrebbero, invero, far propria alcuna logica di esclusione o, peggio, di occupazione: il confronto promosso si vuole libero nei temi oltreché nei metodi, non strettamente riservato all’opera dell’Alberti e ai suoi, piú o meno diretti, prolungamenti, né precluso a quanti umanisticamente fanno della storia e della conoscenza antiquaria il fondamento di indispensabili riflessioni, o interrogazioni, sul presente.

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